“Che mestiere fai?”
“Sono un’archeologa.”
“Oh! Beeeello! Ho sempre avuto un
debole per l’archeologia e le antichità! Senti ma... è vero che Carlo V a
colazione mangiava fiocchi d’avena e latte di bufala??”
“Ehm, veramente non saprei.”
“Come non lo sai?!?” l’interlocutore
sembra turbato e perplesso: gli ho forse rifilato una bugia per farmi bella?
“Sai, io sono un’archeologa
specializzata nel settore vicino orientale.”
L’interlocutore estrae dalla tasca un oggetto dall’aspetto antico: “Questo apparteneva al nonno del nonno del cugino di quarto grado della madre di mia moglie. Vedi vedi? Le incisioni, riesci a riconoscerle? A quale civiltà appartengono? (Così su due piedi mi sembra un coccio del paleolitico europeo...) In che anno sono state incise? A che ora? Ma secondo te l’artigiano era mancino?”
L’interlocutore estrae dalla tasca un oggetto dall’aspetto antico: “Questo apparteneva al nonno del nonno del cugino di quarto grado della madre di mia moglie. Vedi vedi? Le incisioni, riesci a riconoscerle? A quale civiltà appartengono? (Così su due piedi mi sembra un coccio del paleolitico europeo...) In che anno sono state incise? A che ora? Ma secondo te l’artigiano era mancino?”
Potrei spiegare all’interlocutore
che, per analizzare al meglio quel reperto, sarebbe stato di gran lunga
auspicabile sapere in che luogo l’avo, perso nei rami dell’albero genealogico
di sua moglie, aveva trovato il reperto. E che a volte servono cataloghi di
fotografie e registri di scavo, per identificare correttamente un oggetto. Ma
no, perché dargli queste preoccupazioni?
Mi schiarisco la voce, gonfiando il petto come una ranocchia: “Sì... eh be’... in realtà ha l’aria di essere un manufatto preistorico, forse proveniente dall’Europa del Nord. Però, vedi... io non sono un’esperta di reperti, sono un’epigrafista. Per essere esatta, sono un’assiriologa.”
Mi schiarisco la voce, gonfiando il petto come una ranocchia: “Sì... eh be’... in realtà ha l’aria di essere un manufatto preistorico, forse proveniente dall’Europa del Nord. Però, vedi... io non sono un’esperta di reperti, sono un’epigrafista. Per essere esatta, sono un’assiriologa.”
“Assiro che?” mi guarda di nuovo con l’aria
dubbiosa di uno che ha paura di essere imbrogliato.
“As-si-rio-lo-ga. Sono una
traduttrice di lingue antiche. Per la precisione, di una parte delle lingue
scritte in caratteri cuneiformi. Hai presente quella roba antichissima con
tutti i triangolini e le stecchette?”
“Sì.”
“Ecco. Traduco quella roba lì.
Accadico, ossia babilonese ed assiro, un po’ di ittita, sumerico...”
“Ooooohhhh!!! Forte! E senti, come si
dice in sumerico: scusi mi può portare un caffè?”
Eh no, questo è troppo! Basta, getto
la spugna e perdo la pazienza. Almeno lo sa, il mio interlocutore, che il caffè
è americano? E quindi, a meno che in antico non ci fosse una qualche ditta di
import-export transoceanica di cui ancora non abbiamo scoperto traccia, i
Sumeri proprio non potevano ordinarsi un caffè al bar?!
Taglio corto, ormai senza speranza: “Non
lo so.” Però saprei come scagliargli contro un anatema, all’incirca così:
“Bilgameš.e
Nam.hé.ba.da.kur.e.Ø”
Ovvero: possa
Gilgamesh maledirti!
|
“Ah, va bene.” la delusione è
evidente sul volto dell’interlocutore, come ad affermare: non sai proprio
niente! Che razza di archeologa sei?
Razza scribacchina, topo di
biblioteca - anzi talpa, dato il considerevole numero di diottrie mancanti al
mio apparato visivo -, traduttrice di lingue che nessuno parla più da millenni,
quarta scrivania a destra; per reclami e rimostranze sono disponibile il
venerdì dalle cinque alle sette, grazie.
Oggi sono lamentevole, come direbbe
una mia cara amica. Perché?
Perché il mondo non capisce che un
archeologo non è un animale onnisciente, mentalmente fruitore di ogni singola
pagina di storia, antropologia, etnologia, glottologia e “repertologia” dell’umanità.
Per fare un esempio pratico: chiedereste mai ad un medico neurologo di
sistemarvi una gamba fratturata? Per non saperne nulla, personalmente
preferirei rivolgermi ad un ortopedico, voi che dite?
Purtroppo, questa semplice regola di
buon senso, non si applica a gran parte della scienza, per cui ci ritroviamo
frotte di addetti ai lavori angariati da domande per le quali non hanno una
risposta immediata; sebbene, con un po’ di pazienza, potrebbero trovarla, sono
pur sempre ricercatori. Perciò: clemenza, prego! Anche gli scribacchini, i
quattr’occhi e i nerd desiderano una vita sociale.
E cosa pensereste di me, se vi
raccontassi quanto segue...
Amo viaggiare. Chi mi conosce di
persona, o segue le mie vicissitudini mediatiche da qualche tempo, lo sa già.
Sono dinamica per natura e dormo con la valigia sotto al letto, sempre pronta a
prendere il primo treno, traghetto, aero velivolo per destinazione X.
Lo scorso anno, un ameno articolo
sulla rivista Medioevo (n. 205 febbraio
2014), risvegliò in me la sopita passione per la civiltà scandinava dei
Vichinghi, illustrando le bellezze di una mostra che si sarebbe tenuta a Londra
prima e a Berlino poi. Mi prudevano le mani: messo da parte il giornale,
impugnai il mio fido smartphone - col quale sono una secchiona, smanettona
pericolosa - e in meno di venti minuti ero pronta per volare alla volta di
Londra.
Oh ed ah!! Quante meraviglie alla
mostra allestita al British Museum; commozione a gogo per i ricordi delle mie
ricerche di quindicenne sulla mitologia nordica ed il norreno, uno degli
antichi idiomi parlato dai Vichinghi, risalente all’incirca all’Anno Mille.
Snorri Sturluson, il monaco islandese che nel XII secolo scrisse l’Edda in Prosa - una raccolta parafrasata
di buona parte dei poemi mitologici vichinghi -, mi teneva per mano e camminava
al mio fianco da una teca all’altra, corridoio per corridoio. Da Londra, per
arrivare alla Scandinavia il passo sarebbe stato breve. Ma non quell’aprile
dello scorso anno. La terra natìa dei Vichinghi avrebbe aspettato un’occasione
migliore per essere visitata.
Emozionata ed esaltata, feci una
velocissima pausa pranzo, per poi tornare ad immergermi nelle ricchezze del
British. Andai a salutare Sargon II e i suoi rilievi del Palazzo Reale di
Khorsabad, nel padiglione vicino orientale - e a questo punto ringrazio gli
archeologi di metà Ottocento, che almeno hanno salvato qualcosa delle civiltà
che ho tanto amato ma che la follia, nata dall’ignoranza e dalla paura, oggi
sta radendo al suolo. Ninive, Hatra. A chi toccherà la prossima volta?
Un’ammiccata alle bellezze dell’Antico
Egitto e alla Stele di Rosetta - una scribacchina non può esimersi dal rendere
omaggio alla pietra miliare della
riscoperta e decifrazione del sistema di scrittura geroglifico; perdonate il
gioco lito-semantico.
E per finire, una passeggiata nella
galleria delle origini del grande Impero Britannico. Secoli di storia
scorrevano davanti ai miei occhi, di fruitrice comune stavolta - avete
presente? Medioevo inglese... io topo di biblioteca assiriologo...
Gioielli, calici in oro, vetri
cloisonné e pietre preziose, vesti decorate.
Indescrivibili pezzi di scacchi in
avorio di zanne di tricheco. Questi qua, per la precisione…
Ora, sulla laconica targhetta della
teca c’era scritto: gioco degli scacchi, Scozia, XII secolo. Avrei potuto io
mai sapere, dalla dicitura così avara di informazioni, che quegli scacchi
furono ritrovati nel 1831, da un contadino, su una spiaggia scozzese delle
Isole Ebridi, chiamata Uig Bay? Che ne furono trovati numerosi pezzi,
provenienti da almeno quattro scacchiere, e dopo aver riposato per secoli sotto
la sabbia furono venduti e sparpagliati per i quattro angoli del mondo - ... a
proposito, ...
“lugal.anub.da.(k)limmu.bi.a(k)”
Ignorando il primo
simbolo in alto a sinistra,
“lugal” che
significa “re”, ora sapete come
appaiono i quattro angoli del mondo in sumerico
|
Finché il British e il Museo
Nazionale di Edimburgo non ne fecero due collezioni più cospicue e
correttamente conservate.
Non sono una chiromante. Non posso sapere
ciò che non ho studiato.
Dunque quel giorno mi limitai a fare
la turista. E a comprare un paio di magneti da frigorifero al “bookshop” all’uscita
del British Museum, che andassero a rimpinguare la mia collezione, una volta
tornata a casa.
La morale?
Lasciate che gli scribacchini, i
ricercatori, i secchioni vivano in pace la propria esistenza. E fate loro
comprare tutte le calamite da frigorifero che desiderano, anche se lì per lì
non sanno di aver preso la riproduzione in miniatura dei famosissimi Scacchi di Lewis!